San Paolo. Mangio’ lupini col vino sulla collina di Casale

Nelle leggende e nei racconti orali rimandati attraverso i secoli c’è sempre una sorgente di verità, che col tempo si dilata e si arricchisce di nuovi elementi.

Ogni comunità conserva orgogliosamente ed esalta le sue tradizioni, di esse nutre il suo spirito religioso e non. Talvolta lo spirito religioso si innesta su quello pagano, ma, secondo me, questo fenomeno non inficia per niente la spiritualità del popolo che ingenuamente si abbandona a queste manifestazioni.

Sarebbe interessante e non privo di fascino affrontare questo argomento, ma non è il caso, qui, dato che il compito che mi sono assunto è quello di illustrare semplicemente e brevemente, una ricorrenza tramandata da tempi remoti, che ha luogo ogni anno, il 24 e 25 gennaio, a Casale di Carinola, sulla collina che porta il nome di San Paolo.

La data che ricorda la Conversione di San Paolo sulla via di Damasco. Come un avvenimento tanto lontano nello spazio e nel tempo ha colpito e tuttora colpisce fortemente la spiritualità del popolo casalese? Qui entriamo nella Storia per proseguire poi per congetture e intuizioni.

La Storia: Nel 59 D.C. Paolo di Tarso viene imprigionato a causa di diverbi religiosi e con l’accusa di aver profanato il Tempio. Per questo rischia perfino di essere lapidato. Viene portato davanti al Sinedrio per essere processato, ma Lui fa valere un suo importante diritto, quello cioè di essere cittadino romano, riconosciuto al padre e da Lui ereditato. Pertanto non è il Sinedrio che deve giudicarlo, ma la giustizia romana. Per questo motivo, dopo qualche tempo di detenzione, viene condotto a Roma, in veste di prigioniero. Dopo un travagliato viaggio sulla nave ” Castore e Polluce” giunge a Pozzuoli dove già opera una comunità, che invita l’Apostolo a un breve soggiorno per ascoltarne gli insegnamenti. Non c’è da meravigliarsi per questa libertà che gli è concessa. Innanzitutto Paolo è un prigioniero particolare, poi il centurione Giulio che lo tiene in custodia è affascinato dalla personalità eccezionale del prigioniero. Dopo una settimana si riprende il viaggio. Non tutti gli storici sono d’accordo sull’itinerario percorso fino a Roma. Luca negli Atti degli Apostoli dopo la partenza da Pozzuoli ce lo fa subito trovare al Foro Appio, una località della pianura pontina. Ma è facile immagivare, come certi storici ritengono, che l’ Apostolo, uscito da Pozzuoli abbia percorso la via Campana verso Capua, ivi accolto dalle autorità cristiane. Da Capua, poi, imbocca la via Appia, la regina viarum, che era una delle più importanti vie di allora. Lo storico Dreyfus dice che un’altra sosta l’abbia fatta a Sessa Aurunca, anche se non ci sono precisi documenti a testimoniarlo è storicamente verosimile che Paolo di Tarso abbia attraversato questi luoghi e abbia lasciato un’impronta della Sua spiritualità nel popolo casalese. Il tragitto Capua-Sessa Aurunca lungo la via Appia attraversa la collina che poi avrebbe preso il nome del Santo. A testimoniarlo ci sono tuttora resti di quella strada. Da reperti storici trovati risulta inoltre che la zona, in quei tempi, non era selvaggia e disabitata. Niente pertanto ci vieta sdi credere a ciò che nei secoli passati e ancora oggi il popolo casalese crede. Era l’estate del 61 D.C…

Usiamo un pò di fantasia, questa virtù umana che talvolta coglie nel segno e vede più in profondità di quanto possono fare gli occhi e la ragione. Ecco questo gruppo di uomini che avanza esausto lungo la via, con le bisacce in spalla e larghi copricapi per ripararsi dal sole, ed eccoli ora questi uomini ad una svolta che, improvvisamente gli apre un paesaggio aperto e luminoso, di straordinaria bellezza. Ecco Paolo che distende il suo sguardo su quel paesaggio che abbraccia gran parte della Campania felix e indica col dito il Golfo di Napoli: Di là, amici, siamo partiti – dice. E per goderselo quel paesaggio, per sentirsi illuminato dalla luce che inonda tutte le cose è facile supporre che l’Apostolo abbia chiesto al suo seguito di fare una sosta. E mentre sono seduti, sdraiati all’ombra di alberi fronzuti, ecco un abitante del luogo che viene con una scodella di lupini salati e con una brocca di vino ristoratore.

Si è verificato realmente questo avvenimento? Lasciamolo nel buco nero della storia.Importante è che un popolo da questo incerto seme ha fatto nascere l’albero della fede per il suo Santo Protettore. Non si sa con esattezza quando fu eretta la Cappella in Suo onore, molto probabilmente sui resti di un edificio precedente, ma nell’economia di questo breve racconto non ci interessa. Forse è l’edificio sacro più antico di Casale.

Una leggenda narra che a disputarsi il luogo e la venerazione per il Santo ci sia stata alle origini un’aspra lotta tra il popolo casalese e quello di Cascano. La vittoria arrise a Casale e da allora, ininterrottamente, da secoli, il 24 e il 25 di gennaio si festeggia la conversione di San Paolo.

Caratteristica è la vigilia. Già dal primo pomeriggio il popolo si reca sulla collina, dove, dopo le funzioni sacre avviene l’elargizione dei lupini benedetti (salatiegli) e del vino. Il piazzale antistante e le zone circostanti traboccano di gente locale, del vicinato e di gente casalese che vive lontano e non vuole mancare in questo giorno, tanto grande è il richiamo per questo avvenimento. Sarà il paesaggio che si estende fino alle isole di Ischia, Procida e Capri, sarà la luce, l’aria, il colore del cielo, certo è che la collina in questo giorno si veste di un’aura particolare, che penetra lo spirito e dona una strana, intima gioia ai cuori presenti. C’è un incrocio di voci, di sguardi, di mani che si salutano e si dividono, di volti dimenticati che si ritrovano sfogliando le pagine della memoria. Queste ultime parole sono di una poesia di Michele Lepore che alla collina di San Paolo e alla festa della conversione si è ispirato per un poemetto scritto recentemente. Colgo anzi l’occasione per riportarne un’altra che esprime bene lo spirito della festa:
Ospiti sono venuti da lontano

sfidando le ire dell’inverno

memori di questo giorno

hanno mangiato cibi della nostra terra

bevuto vino della nostra vigna

sotto il più puro dei cieli

i loro cuori hanno danzato

alla musica di erbe e foglie

suonata dalle ruvide dita

del vento tra gli alberi.

 

Col tempo, dalla povertà del vino e dei lupini, si è passati alla elargizione di panini, frittate ecc. La tradizione si è arricchita di nuovi elementi senza fortunatamente snaturare il suo principio.

Nel 1972 un uomo che per la ressa non riuscì a bere un bicchiere di vino, da allora gran parte del vino che produce la sua vigna sita a poca distanza della Cappella, viene offerto al popolo. Da quell’anno tutti o quasi coloro che si recono alla Festa passano “per la grotta di Teobaldo” per un bicchiere di vino augurale. L’uomo, Teobaldo è deceduto, ma questo innesto sulla Tradizione originale non è scomparso, perchè il rito viene continuato dal figlio.

Un altro elemento curioso è il suono del tamburo, intorno alle 4 del mattino. qualcuno gira per il pase, solitario, e suona il tamburo per la sveglia ai musicanti che compongono la locale banda musicale. Il giorno seguente si porta in processione il Santo e di nuovo sulla collina si respira quell’aura particolare che rende caratteristica la Festa. Dopo la messa solenne nella Cappella la statua del Santo viene riportata sul piazzale ed esposta su un tavolo mentre inizia la gara dei fuochi d’artificio. Una gara straordinaria, potente, ricca, da alcuni considerata folle ed esagerata, spreco inutile di denaro.

La realtà è che cadendo la Festa in pieno inverno, impossibilitati a esaltarla con altre manifestazioni per via del freddo, gli antenati casalesi scelsero questo modo per esprimere la loro fede. Se alcuni non lo accettano, altri, la maggioranza del popolo, con quei fuochi fa esplodere la sua gioia per il Santo, niente altro sono, quei fuochi, se non canti di gioia, osanna per il suo Protettore.

Testo di Michele Canale